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Il Nordest di “Cartongesso”. Un esordio importante: un punto di arrivo

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Alcuni di noi, qui a minima&moralia, hanno molto apprezzato il romanzo d’esordio di Francesco Maino, Cartongesso, pubblicato da Einaudi. Ringraziamo dunque Michele De Mieri, che l’ha recensito per la “Domenica” del “Sole 24Ore”, e che ora ci permette di condividere il suo pezzo con i lettori di m&m. (Fonte immagine)

di Michele De Mieri

Il topotoga-contro, il trentasettenne Michele Tessari, il monologante arrabbiato con tutti i suoi colleghi avvitopi del foro di “Venessia” e del tribunale di Insaponata sulla Piave non si dimentica facilmente, credetemi. Il suo furore maniacale, la sua elencazione degli odi che gli scatena il solo motivo di vivere in “Heneto, Itaglia”, in mezzo a della gente (simile a lui) che parla il “grezzo” e che non ha mai amato, né stimato, è la materia urticante dell’invettiva di oltre duecento pagine di cui è composto Cartongesso, il romanzo di Francesco Maino, quarantaduenne di San Donà di Piave.

Non devono aver avuto molti dubbi i giurati dell’ultima edizione del Premio Calvino quando si sono trovati fra le mani un libro così importante per sfida linguistica e urgenza culturale. Partiamo dalla seconda: sono un paio di decenni che la macroregione del nordest desta l’interesse di ogni tipo di analisi socioeconomica – dal miracolo alla crisi – e insieme molte interessanti e svariate scritture si sono originate e nutrite di una sempre più ricorrente “questione veneta”, da Carlotto a Bugaro, da Scarpa a Franzoso, e ancora Mozzi, Trevisan, Ferrucci, fino al più giovane Targhetta del romanzo in versi Perciò veniamo bene nelle fotografie – ma come non menzionare al cinema almeno il lavoro recente di Alessandro Rossetto in Piccola patria? Ecco che la scatola sonora di Cartongesso le aggiorna e le sintetizza, forse le supera un po’ tutte; è il pregio di alcuni libri quello di tirare come una linea, voltare pagina perché tanto è stato detto, come mai prima.

Come fa Maino a ficcare tutto quello scritto da tanti altri in un solo libro? Semplicemente fa dire tutto quello che passa per la testa al suo protagonista Michele Tessari; gaddaniamente per l’acume, celinianamente per la rabbia, lui recensisce tutto quello che vede e conosce: c’è la geografia delle “villette monozigote” e relativa antropologia da tavernetta, ci sono gli sghei (anche quando non ci sono più), l’etica vuota del conoscere e parlare del/al “territorio”, la sete continua, che sia l’onnipresente spritz o un’ombretta già in mattinata, il “nero” che permette a tanti di vivere ben oltre il tenore dichiarato al fisco ma comunque sempre ancora sotto ai desideri continui, e molto altro ancora.

Michele Tessari fugge tutto il modello di vita veneto in cui sono lanciati i suoi coetanei, è ancora legato ai genitori in forme di varie dipendenze, fa l’avvocato degli ultimi, quelli che pagano poco o non pagano affatto, lui lo chiama il “suo mercato di puzzoni della Nigeria”. Ha un’auto vecchia, poche donne e non si tira a lucido granché. In questo quadro c’è un’ossessione più estrema delle altre, quella contro i suoi colleghi avvocati-topo dei tribunali dell’immaginaria Insaponata di Piave – “Quarantamila (40.000) parrocchiani e centocinquanta (150) avvocati” – e della vicina “Venessia”.

Sono le pagine che superano anche il contesto geografico del “mesovenetorientale”, la lotta frenetica degli avvitopi per fatturare e arricchirsi diventa così una piaga medievale, la chiave di lettura di un mondo già putrefatto, appunto ben oltre le terre che circondano il Piave. L’immagine di traghettatore di anime è l’attacco di Cartongesso, quando Tessari racconta del suo precedente lavoro di aiuto-becchino, delle facce defunte degli abitanti dell’ex contado riassunto nel “xe tuto mio, xe tuto de nialtri”. Queste memorie del sottosuolo in terra di Piave non sono un percorso di lettura sempre agevole, Maino chiede al lettore uno sforzo supplementare per penetrare questo incalzante bolo informe, impastato di dialetto e di lingue burocratiche e forensi. Al Salone del Libro dove il Veneto era la regione ospite, mancava questo sguardo spietato di Tessari-Maino.


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